Divisi gli animi a questo modo nel partito «nazionale», la gran massa del paese supinamente indifferente, quando non ostile, alle novità dell'aprile e a quelle in corso di sviluppo; con una stampa non ancora adeguata e informata al nuovo clima politico ed alle nuove possibilità che ne derivavano; non è meraviglia davvero che l'annunzio del prossimo arrivo del principe Napoleone in Toscana gettasse a Firenze e a Torino allarme e subbuglio vivissimi. Impaccio del governo toscano, fulminea contromanovra del Cavour, lí per lí determinatosi, nonostante le tranquillanti dichiarazioni e dell'imperatore e del principe, a neutralizzare la malaugurata mossa francese, premendo sul Boncompagni e, attraverso quello, sul Ricasoli, perché senza indugio venisse proclamata l'annessione della Toscana al Piemonte.
Dichiaratamente contrario a che le questioni del futuro ordinamento dell'Italia centrale venissero pregiudicate finché durava la guerra, il Montanelli fin qui non si era mosso da Acqui. Senonché parve anche a lui che la spedizione del principe Napoleone venisse a creare una situazione nuova del tutto, suscettibile di decisivi sviluppi: e anch'egli si domandò se non si correva per caso il rischio di trovarsi, alla fine della guerra, dinanzi ad un irrimediabile fatto compiuto. 23 maggio, sbarco a Livorno del cugino dell'imperatore; due giorni appresso il Montanelli, recatosi in Alessandria, chiede ed ottiene udienza da Napoleone III. Il colloquio (il secondo fra loro) verte da principio sulla situazione toscana, intorno alla quale l'imperatore riceve da piú parti le informazioni piú desolantemente contraddittorie.
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