Per aver atteso, cioè, l'implicito consenso di Napoleone III prima di determinarvisi? Sarebbe senz'altro un errore: in tutta Italia, infatti, e tra gli stessi patrioti piú indipendenti, universale era allora la convinzione che l'arbitro della guerra sarebbe poi stato l'arbitro supremo della pace; che, per dirla con parole di G. B. Giorgini, «in Toscana [non] potrebbe consumarsi o reggersi un fatto qualunque non consentito dalla Francia»(223). Il Montanelli che aveva ancora fresco il ricordo delle dichiarazioni antiunitarie fattegli pochi giorni innanzi dall'imperatore, non si sarebbe aspettato di certo una cosí brusca sua conversione; ma è inutile dire che l'accolse con esultanza; tanto piú che forse si lusingava di avere in qualche misura personalmente contribuito, con le sue parole e col suo memorandum, a questa improvvisa (e ahimè ingannevole) adesione imperiale al programma unitario.
Qual era allora la situazione in Toscana? Disorientato, da un verso, dalle insistenti pressioni piemontesi in senso annessionistico (missione Nigra-Cipriani, vivamente deplorata dal Ricasoli), quindi dall'improvviso loro abbandono in sulla fine di maggio (una volta accortosi il Cavour d'aver battuto una pista falsa); e, dall'altro verso, dalla conturbante presenza delle truppe francesi, il governo toscano si era accuratamente astenuto, nelle ultime settimane, da ogni concreta manifestazione di principî o di propositi sia nel senso dell'annessionismo che in quello autonomistico o unitario. Il rinvio di ogni decisione a guerra ultimata si rivelava ormai ben piú che un programma preordinato, il portato di una incoercibile repugnanza e quasi impossibilità collettiva, in seno al governo, a operare una scelta fra quei diversi partiti.
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