La Toscana pareva davvero quella donnetta disputata da un gruppo di soldatacci, cui l'aveva amaramente paragonata il Capponi. Giudicò il Montanelli, cosí stando le cose, che fosse giunto il momento opportuno non solamente per iniziare, o riprendere, in Toscana manifestazioni unitarie extra-governative, ma per imprimer loro, possibilmente, quel carattere di autentica «popolarità» che fino ad allora era ad esse mancato, come l'imperatore gli aveva fatto espressamente notare in occasione del colloquio alessandrino, e che ben piú di ogni assicurazione di un Corsini o di un Ricasoli avrebbe valso a dimostrare la loro corrispondenza ai voti della cittadinanza. L'idea del Montanelli, in concreto, fu quella di promuovere, da parte dei municipi toscani, clamorose manifestazioni in favore della costituzione di un grande regno unito d'Italia, cui la Toscana, un giorno, avrebbe dovuto congiungersi. Anche il Cavour, allorquando aveva sperato di ottenere dalla Toscana un solenne voto annessionistico, aveva suggerito al Boncompagni di sollecitare quel voto dai municipi toscani: nell'assenza di una regolare assemblea legislativa (cos'era la Consulta dell'11 maggio se non un vero e proprio consiglio di Stato emanante dal potere esecutivo?), gli unici organismi rappresentativi del popolo toscano potevano dirsi infatti i consigli municipali. Essi erano composti, è vero, di membri nominati dal governo, e per giunta dal cessato governo granducale, ma in ragione della loro stessa molteplicità potevano ancora considerarsi, entro certi limiti, quasi uno specchio della cittadinanza o almeno del ceto possidente.
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