Altro era infatti acclamare a un re d'Italia, che era del resto nelle tradizioni della innocua rettorica patriottica, altro promuovere una manifestazione sistematica in favore di un definito e concreto regno d'Italia.
Il 12 giugno, allorquando la propaganda svolta dall'Aquarone era ancora nella sua fase iniziale, una seconda manifestazione unitaria aveva luogo a Firenze: dove il consiglio dei ministri approvava un decreto (di poi né pubblicato né sottoposto all'approvazione della consulta, attesa l'opposizione del Cavour) proclamante in Toscana la sovranità di re Vittorio, «onde cooperare alla formazione d'una Italia una e forte». Questa volta era la tendenza annessionistica che prendeva nettamente il di sopra; e, con essa, il radicato presupposto ricasoliano di disporre delle sorti del paese senza ricorrere alla consultazione piú o meno indiretta della volontà popolare.
Contro questa tendenza veniva adesso ad urtare la propaganda dell'Aquarone, il quale, messaggero, sí, del Montanelli, ma insieme coperto da una sia pur generica autorizzazione del governo sabaudo, non si peritava di sollevare pubblicamente il problema unitario nella sua interezza, cioè il problema non pure della Toscana, ma, seppur gradualmente, di tutta l'Italia e delle sue sorti future, partendo dalla dichiarata premessa che la manifestazione della volontà toscana avrebbe dovuto svolgersi dal basso all'alto, e, se non all'insaputa, certo senza il diretto intervento delle autorità di governo. Il ragionamento del Montanelli-Aquarone filava, invero, perfettamente: che valore avrebbe mai rivestito, ragionavano essi, il voto unitario o annessionistico pronunziato o provocato da un ministero gerarchicamente dipendente dal commissario del governo piemontese?
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