Esposi arrivato a Torino il mio disegno a Valerio, a Kossuth; chiesi a Cavour che ci desse Garibaldi: disse non potere come ministro di un re che aveva accettato la pace di Villafranca mandare nell'Italia centrale Garibaldi con la veste di generale piemontese; chiedesse egli il congedo; lo chiedessero i suoi soldati; e i governi dell'Italia centrale facessero il resto(289).
Invero, egli si trovava allora nell'identico stato d'animo e sull'identica linea del Cavour, il quale dubitava di esercitare l'estremo suo potere per spronare i suoi agenti a Bologna, a Parma, a Modena, a Firenze a organizzare la resistenza contro le restaurazioni, a istituire governi forti, a richiamare dalla Lombardia le rispettive truppe, a suscitare insomma la rivolta armata delle popolazioni contro gl'iniqui deliberati di Villafranca: del resto era quello l'ovvio programma di tutti gli uomini della sinistra, dal Mazzini (le cui previsioni sui limiti e i resultati di quella guerra ricevevano purtroppo una impressionante conferma) al Guerrazzi. Ma se ovvio era il programma, e agevole il convenire della sua opportunità, meno ovvio e meno agevole era l'additarne un'attuazione possibile, cioè commisurata alle gravissime difficoltà della situazione. Nonostante le assicurazioni e gl'incitamenti del Cavour, restava intanto da appurare un punto di fondamentale importanza: cioè se Francia ed Austria si fossero accordate per un eventuale intervento militare in vista d'imporre le restaurazioni nell'Italia centrale o se si fossero limitate a sancirle in diritto.
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