La mattina del 15, a Torino, si viveva ancora, a questo proposito, nella piú ansiosa incertezza. Anche Celestino Bianchi, che il Boncompagni e il Ricasoli avevano mandato d'urgenza nella capitale sabauda per esaminare la situazione e significare l'assoluta contrarietà dei toscani a piegarsi alla restaurazione granducale(290), si dimostrava passabilmente all'oscuro e di questo e di molti altri dati essenziali concernenti le sorti del suo paese. In attesa di informazioni sicure, egli e il Montanelli, due vecchie conoscenze(291), incontratisi nel primo pomeriggio del 15(292), convennero in massima circa l'opportunità, anzi l'urgenza di armare la Toscana per prepararla a resistere contro eventuali imposizioni straniere(293). A questo proposito, anzi, il Bianchi, com'è ben noto, ebbe subito una serie di decisivi colloqui con influenti personalità piemontesi: in seguito ai quali si sentí di spedire a Firenze un primo dispaccio tranquillizzante(294). Pochi istanti dopo giungevano a Torino i due sovrani alleati. Nel corso della loro conversazione circa l'armamento della Toscana, tanto il Bianchi che il Montanelli avevano ravvisato l'opportunità di proporre il trasferimento sulle rive dell'Arno di quella legione ungherese che si era andata ordinando in Piemonte, ma che non aveva avuto il tempo di prender parte alla guerra (vecchia idea fissa dei democratici toscani quella di ricorrere, in caso di estremità, a volontari stranieri!) La sera stessa il Montanelli condusse l'amico, che già si era abboccato con alcuni esponenti ungheresi, dal Kossuth in persona, da lui conosciuto a Piacenza.
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