Prima di Villafranca e per diverse settimane dopo l'8 di luglio, l'imperatore infatti espresse invariabilmente la sua decisa contrarietà a progetti del genere: che poi il suo giuoco politico mirasse a rendere impossibile ogni altra soluzione della questione toscana e per questa via a far sí che la stessa diplomazia europea finisse col forzargli la mano sul punto della candidatura «plonploniana», resta da vedersi (invero noi crediamo che sulla astuzia sopraffina di Napoleone III si sia alquanto esagerato...); comunque ciò non ha a che fare col nostro assunto immediato.
Il colloquio con l'imperatore dette al Montanelli l'impressione che non convenisse in alcun modo opporsi alle sue vedute, o, come si dice, «prenderlo di punta». Napoleone aveva dichiarato formalmente impossibili le annessioni; su altre possibili soluzioni, per contro, non si era pronunciato con altrettanta risolutezza. Perché dunque, adottando il programma delle annessioni, sfidare apertamente quell'unico fra i potentati europei il quale, seppure aveva deluso, all'ultimo, le speranze degl'Italiani, aveva in concreto iniziato l'opera dell'indipendenza della patria loro? Questo programma annessionistico, d'altronde, non era mai stato veduto, già lo sappiamo, con particolare favore dal Montanelli: era forse logico attendersi che vi si convertisse proprio allorquando l'imperatore gli dichiarava d'esservi recisamente contrario? Lasciata a se stessa, certo la Toscana avrebbe potuto correre gravissimi pericoli, e l'esperienza del '49 era anche troppo eloquente in proposito; ma la garanzia del non intervento, da un lato, e la possibilità di una lega militare e politica con le altre regioni dell'Italia centrale non bastavano forse a eliminare ogni eccessiva ansietà al riguardo?
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