Villafranca, del resto, non aveva modificato l'opinione del Montanelli, quanto all'onnipossenza napoleonica nel fissare le condizioni della pace definitiva per l'Italia. Villafranca, se mai, additava sempre piú nell'imperatore il vero padrone d'Europa. Lo si era accusato di debolezza, di ondeggiamenti, d'irresolutezza; ma gli avvenimenti non dimostravano forse precisamente il contrario? L'imperatore aveva voluto la guerra, ed alla guerra era giunto nonostante le fortissime opposizioni scatenatesi in tutta la Francia, ne aveva fatto annunziare il programma ed i limiti in una celebre pubblicazione, e a quel programma e a quel limiti si era tenuto sostanzialmente fedele, nonostante che i travolgenti successi riportati lo avessero fatto temporaneamente pencolare verso soluzioni non prevedute; vittorioso, aveva saputo troncare la guerra; aveva sfidato l'Europa, ed ora aveva la saggezza di sacrificare all'Europa l'immensa popolarità che si era acquistato in Italia. Non dimostrava tutto ciò irrecusabilmente che l'imperatore sapeva quel che voleva, e quel che voleva sapeva ottenere? Conoscere tempestivamente i suoi effettivi propositi circa il riassetto italiano, e disporsi a secondarli, nella prevedibile impossibilità di una efficace opposizione, significava dunque mettersi in grado di ricavarne il massimo vantaggio.
Il quale ragionamento apparirebbe incontestabile se Napoleone III fosse stato davvero l'uomo che il Montanelli, in base alle apparenze, non poteva non supporre che fosse(307), se Villafranca non avesse determinato in Italia una situazione estremamente dinamica e tale da imporre a tutta la penisola, o prima o poi, l'alternativa fra due, e soltanto due, soluzioni estreme, lo status quo ante, cioè, o la compiuta unità nazionale; se, finalmente, la politica napoleonica non avesse provocato nelle cancellerie europee, e piú particolarmente in quella inglese, le reazioni piú imprevedute.
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