Invece se l'Italia centrale, liberamente e fortemente governata, avesse conservato provvisoriamente la sua autonomia, ponendosi di fronte all'Europa come campione dell'indipendenza e della futura unificazione della penisola, la questione italiana sarebbe rimasta all'ordine del giorno della diplomazia mondiale, i sedimenti rivoluzionari serpeggianti nelle province romane, napoletane e siciliane ne sarebbero stati automaticamente stimolati e ravvivati, i governi di Roma e di Napoli si sarebbero sollecitamente trovati nel dilemma o di trasformarsi conformemente ai voti della popolazione (e quindi anche di compiere passi nel senso dell'unificazione italiana) o di affrontare a breve scadenza una rovinosa rivoluzione.
Tali le riflessioni che al Montanelli vennero suggerite dal colloquio con l'imperatore ed alle quali, come già si è detto, egli ispirò nel seguito la sua azione politica. Né gioverebbe qui di contrapporre ad esse le altre, non meno evidenti, che avrebbero pur potuto derivarsene, e che infatti ne derivarono i piú, pervenendo a conclusioni opposte alle sue: quelle appunto che vennero poi coronate dai fatti. Ma a noi deve bastare per adesso di avere accennato come un animo italianissimo potesse, all'indomani di Villafranca, oppugnare strenuamente la politica delle annessioni, non già - come si volle - in ragione ed in nome di nostalgie autonomistiche o, peggio, d'imperdonabili preferenze per etichette o per ordinamenti stranieri, ma per l'appunto in ragione ed in nome di quegli stessi principî unitari, o nazionali, ai quali obbediva allora ogni italiano cosciente.
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