Qui consigliano d'impedire lui e Guerrazzi»; «conviene impedire il ritorno del Montanelli e del Guerrazzi non tanto per quel che farebbero, quanto per quello di cui potrebbero essere il pretesto, e per il cattivo effetto che i loro nomi farebbero all'estero. Perciò mi varrò dell'azione confidenziale ed amichevole dei loro amici...»(321). Questa era la lusinghiera accoglienza che all'esule impaziente, dopo dieci anni, di rivedere la patria, si preparava! Ignorava dunque il Peruzzi - il quale, il 21 del mese, partiva da Torino per Parigi, investito della nota missione diplomatica - che il Montanelli era stato designato a seguirvelo, e, verosimilmente, a collaborare con lui? Vedremo piú oltre che il Peruzzi, in realtà, stimava, sí, pericoloso il Montanelli in Toscana, utilissimo invece a Parigi. Senonché ed egli ed altri toscani eminenti, come lui timorosi della popolarità di un Montanelli in Toscana, non sapevano e non ricordavano che proprio l'imperatore (sul quale affettavano di credere che il nome del Montanelli, evocante il '48, potesse suscitare sfavorevole impressione) lo aveva spinto a recarsi in Toscana?
L'ex triumviro, intanto, ignaro di tutto ciò, proseguiva nel suo viaggio diplomatico. Ottenuto senza difficoltà l'assenso del Farini e del Pepoli alla proposta lega e al «generalato» del Garibaldi(322), varcava gli Appennini, ansioso di conferire personalmente col Ricasoli, oltreché di rivedere finalmente la sua terra e la sua casa(323). Giunse a Firenze il 25 o il 26 di luglio, e subito si recò a Palazzo Vecchio, dove - attestò il Corsi in una lettera al Guerrazzi, del 27 - «tutti gli hanno stretta la mano, e con ciò solo furono sopite tutte le vecchie ruggini»(324). Altro che sopite, come vedremo!
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