Tramontata dunque la prospettiva di un impiego diplomatico, e tramontata, sembra, unicamente per volontà del Montanelli(346), l'ex triunviro si presentò candidato alle elezioni politiche. Che gli ambienti ufficiali non vedessero con soverchio entusiasmo questo suo divisamento (il Montanelli era pur sempre l'uomo della Costituente: una volta membro dell'assemblea non avrebbe cercato di riesumare l'antico progetto?) è piú che comprensibile, e del resto ci consta sicuramente(347): si deve per altro riconoscere che nulla di men che corretto fu tentato dal governo per escluderlo dall'assemblea: tanto che il 7 d'agosto egli otteneva, nella sua Fucecchio, una votazione quasi plebiscitaria(348).
Eccolo adunque deputato; eccolo investito, con gli altri suoi colleghi, di una immensa responsabilità di fronte all'Italia e all'Europa. Ben si sapeva, a Palazzo Vecchio, che si poteva contare su di lui per la progettata solenne votazione antilorenese; c'era da aspettarsi perciò, che gli amici del governo facessero di tutto, in quella prima metà d'agosto, per convertire lui e i molti altri deputati antiannessionisti anche al programma dell'unione al Piemonte. Quindi lusinghe, pressioni, intercessioni autorevoli. Pel Montanelli, in particolare, vennero messi di mezzo, fra gli altri, perfino il Manzoni e il Garibaldi, ai cui consigli si pensò che egli si sarebbe, per deferenza, inchinato(349). Ma il Montanelli non piegò. Era forse legato da impegni assunti personalmente con l'imperatore? Cosí si sussurrò da molti, i quali evidentemente ignoravano come un uomo di fede possa, per non tradire le sue convinzioni, sfidare sereno l'impopolarità e, peggio, gli oltraggiosi sospetti anche degli amici.
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