Son passati da allora settantacinque anni: e accanto al Montanelli riposano ormai tutti quelli della generazione sua, e i figli loro. Eppure il senso di quella iniquità della sorte, di quella morte indebita, e quasi di quel torto fatto al paese tutto, è vivo a Fucecchio come nel '62. La storia, si può e si deve riconoscerlo, non ha ancor dato al Montanelli tutto quel che gli spetta: Fucecchio attende ancor oggi con piena fiducia che sorga il biografo riparatore. Per lui nelle case che furono degli amici si conservano gelosamente ritratti e lettere; per lui si trasmettono di padre in figlio memorie e dicerie; per lui l'arciprete custodisce il calamaio di bronzo in cui il concittadino illustre intinse negli estremi giorni la penna. I fucecchiesi, in sua attesa, hanno pagato la loro passione con l'erigere al Montanelli un gran monumento marmoreo, giú nella piazza dedicata al suo nome, e nel tempestare di lapidi la casa dove nacque, visse, morí. Nel Municipio, in una vetrina dorata, campeggia come una sacra reliquia la sua uniforme di combattente del '48, del '59.
Tutto questo ho ben sentito arrivando a Fucecchio, non appena svelatomi nella mia qualità d'aspirante biografo. Dal bambinetto che mi s'è messo alle costole e non mi ha lasciato un minuto, tutto fiero di render un servizio al gran Montanelli, all'avvocato X, uno di quei legali di provincia che ingannano il tedio delle giornate senza clienti ricostruendo sulle pergamene del vescovado la storia del loro paese, a un paffuto canonico che alla gloria locale sa perdonare perfino le deviazioni massoniche, tutti vivono ancora nel riflesso di quella luce.
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