Sfido io che il Montanelli, alloggiasse sui Lungarni di Pisa o a Palazzo Vecchio, o anche in un boulevard di Parigi, non riuscisse né a Parigi né a Firenze né a Pisa a trovar qualcosa di comparabile con quel suo belvedere! In faccia, all'ultima quinta, i monti di Pisa con la Verruca scapozzata; piú qua, a limite della pianura solcata d'acque e di strade, i colli di Castelfranco; a sinistra, contro il cielo, il profilo di San Miniato, con lo smozzichío delle sue torri, come la mascella d'un vecchio dai pochi denti guasti; a settentrione le montagne turchine di Pescia. Per un poeta - e il Montanelli era nato poeta, seppure le troppe disparate ambizioni, poeta, filosofo, storico, giurista, politico, non gli permettessero d'abbandonarsi tutto alla sua limpida vena - per un poeta c'era di che sognare ad occhi aperti; c'era di che lasciarsi prendere, per sempre, da non so quale arcana malinconia, quella malinconia che il Montanelli aveva negli occhi e che tanto contribuí a circondarlo d'un fascino irresistibile. Accanto alla casa, e sullo stesso livello, una chiesa, preceduta da un portico, arena di ragazzi; e un altro chiesone alle spalle, con una sua gran scalinata (quante chiese, quante campane, quanto pensiero dell'Infinito!); di qui un vicoletto tortuoso e precipitoso, che mena al piano, fra alte case e piccoli orti. A un crocevia un tabernacolo, con entro, in terracotta azzurra, l'imagine dell'Immacolata ed una iscrizione per ricordare che vi fu posta, nel 1833, proprio dal Montanelli.
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