Pare non sappiano che non conviene o non s'usa, altrove, di questi tempi. Ma loro discutono forte, accalorati e convinti: toscani, senza affettazione, all'eloquio, romagnoli all'aspetto un tantino spavaldo, e ai discorsi. Centellino il mio punch, e imagino il professor Montanelli, il «professore» a Fucecchio, per antonomasia, in mezzo al gruppo, pari fra pari, a parlar di Ricasoli, di Garibaldi o Cavour o, prima ancora, della Costituente. Ora s'è fatto piú in là e piú in alto, su quel gran piedistallo ingombro di libroni di marmo, ma si direbbe, da come guarda malinconico, con quel braccio al collo, all'insegna dell'«Iris», che scambierebbe ben volentieri quel podio solenne con uno scanno nel caffè di Fucecchio.
4.
Ancora di Montanelli e Cernuschi
Proprio negli stessi giorni nei quali la «Nuova Rivista Storica» pubblicava l'articoletto di Giuseppe Leti, L'evoluzione di G. Montanelli dal federalismo all'unitarismo (fasc. V del 1936), basato su tre importanti lettere inedite del Montanelli al Cernuschi, vedeva la luce nel fiorentino «Archivio storico italiano» (fasc. IV dello stesso anno) un mio piú diffuso saggio sull'identico argomento: entrambi, per strano caso, intesi a chiarire l'attività svolta dal discusso patriota toscano nell'anno 1859. Come questi due scritti si completino a vicenda, o piuttosto - dirò immodestamente - come quello del Leti valga in sostanza a confermare a puntino la tesi da me sostenuta circa la fondamentale coerenza politica del Montanelli, lascio al lettore accorto di giudicare.
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