Non il '49, temeraria partita d'onore d'un piccolo Stato a tradizione militare, che non poteva dopo tutto finire troppo male, appunto per la piccolezza del Piemonte, certo che l'Europa non avrebbe mai tollerato una sua troppo onerosa sconfitta(388). Non il '59, senza dubbio pagina splendida per noi, ma troppo francese e cioè troppo poco rischiosa per noi. Non il '60, che si combatté di sorpresa e con mezzi eccezionali contro uno Stato già morto nella coscienza politica d'Europa, o almeno mortalmente isolato.
1866: per la prima volta dunque l'Italia, allietata di sproporzionate speranze, e cioè già minorata nella sua capacità di resistenza, promuove una guerra pericolosa della quale assume virilmente tutti i rischi; e pur sa che nel caso di rovescio nessuno in Europa le farà scudo di sé(389). Diplomaticamente e militarmente, l'Italia, finalmente maggiorenne, agisce di sua esclusiva iniziativa.
C'era, sí, la Prussia; ma l'alleanza (da quanto tempo non s'era perduto lo stampo?) venne negoziata da pari a pari, do ut des (e se mai con prevalente vantaggio della Prussia, che otteneva la garanzia del nostro intervento nel caso che venisse attaccata e non ci accordava, né noi insistemmo troppo per ottenere, la reciprocità); una volta negoziata, mantenuta da noi con scrupolo che qualcuno giudicò anche eccessivo (nell'aprile 1866, con nobile temerarietà, La Marmora rifiutò senza discuterle le lusinghe dell'Austria, che avrebbe acconsentito a cederci senza condizioni la Venezia purché avessimo abbandonato l'alleanza prussiana(390); e ce ne dette atto solenne il Bismarck, 20 dicembre 1866, alla Camera prussiana).
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