Questo fervore appare tanto piú notevole quanto piú si conoscono le tremende condizioni morali e materiali dei nostri operai di sessant'anni fa (analfabetismo a un livello altissimo; salari di fame, orari di lavoro prolungatissimi). Il numero degli scioperi aumenta, e, in alcuni gruppi piú progrediti (esempio, i tipografi) si fa strada l'idea delle casse di resistenza; qua e là si cominciano a imporre tariffe di lavoro.
Gli elementi mazziniani cercano di prendere la direzione del nascente movimento operaio, dando una spinta vigorosa all'incerta tendenza organizzatrice, additando via via soluzioni pratiche ai molti problemi della vita operaia individuale e collettiva; ma essi credono fermamente che la risoluzione del problema operaio non potrà venire che da una grande rivoluzione morale, religiosa, istituzionale del paese tutto, dalla repubblica democratica che è il fine di questa rivoluzione. E quindi tentano di servirsi dei nuclei operai come di centri di propaganda delle loro dottrine politiche insurrezionali, abbinano insomma il problema politico col problema sociale; con questo, non dànno tutto il possibile incremento alle nuove iniziative sorte nel campo operaio (tali le cooperative di consumo e di produzione), suscitano urti e scismi.
La maggior parte delle organizzazioni operaie li segue, nella fiducia, non ancora sufficientemente scossa dalla recente esperienza, che il miglioramento delle condizioni della classe lavoratrice dipenda dal «completamento» della rivoluzione.
| |
|