In queste linee č gią il nucleo fondamentale della propaganda clericale. O tornare indietro, alla religione e ai regimi che sulla religione e la legittimitą si fondano, o avanti, ma fino in fondo, fino al comunismo.
Quando, nel 1871, scoppia a Parigi la rivoluzione comunarda, i clericali italiani gongolano di fronte allo sbigottimento generale. Trovano che i signori liberali sono, in veritą, poco logici. E la «Civiltą Cattolica», s. VIII, q. 501, 6 maggio 1871, scrive:
Non si capisce che, senza dare nel comico, pretendano di rimproverare, in nome della societą e della civiltą, gli aderenti della Comune di essere troppo dialettici nell'applicare gl'insegnamenti e troppo attivi nell'imitare gli esempi delle loro signorie liberali e conservatrici. Noi soli che abbiamo sempre detto: o cattolici col papa, o barbari col socialismo, abbiamo il diritto di giudicare e vituperar Parigi, senza mutare improvvisamente il nostro modo di pensare.
Dall'enunciazione di questi principī piś generali, si passa alla propaganda spicciola. Cito qui alcuni passi tolti dal giornale fiorentino «La Vespa», avvertendo che in molti altri giornali e pubblicazioni reazionarie del tempo si trovano espressi i medesimi concetti e, inoltre, che gli articoli di «La Vespa» sono largamente e compiacentemente riportati da altre pubblicazioni, periodiche o no, redatte appunto da clerico-reazionari.
Si attaccano le basi del nuovo regime. Ecco quel che della patria italiana scrive «La Vespa», il 4 novembre 1864:
Santa cosa č la patria, quando, madre amorosa, provvede egualmente benefica a tutti i suoi figli, e vuole in eguali proporzioni distribuiti i premi, i compensi, i sacrifizi.
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