«Invece di stabilimenti di carità si sono dischiuse le carceri, invece delle scuole, i postriboli. Ma niuno ha steso la mano al proletariato, niuno si è ricordato di lui, fuorché l'agente municipale per mandargli la cartella delle tasse, il precetto e il gravamento» (ivi, 25 novembre 1864).
L'hanno proclamato sovrano, il povero popolo; ma ora, che i maneggioni si sono messi a posto, «il popolo sovrano, dal gran trono dove te lo avevano insediato, te lo piantano a sedere a bischetto» (ivi, 16 gennaio 1865).
E i clericali dal cuore largo non possono trattenersi dal piangere sulla sorte della classe operaia «cosí mal conosciuta, cosí iniquamente spregiata, cosí barbaramente, nel tempo della libertà e della filantropia, tiranneggiata ed oppressa» (ivi, 2 giugno 1864), e «sui malanni della povera gente sempre perseguitata». E concludono cristianamente: «Finché la dura!» (ivi, 17 giugno 1864).
Bisogna far entrare sempre piú questi pii concetti nella testa degli ignorantoni. Si fabbricano perciò dei versi, apposta. I versi s'imparano a memoria. Ed ecco:
... Fiorin d'alloro,
la libertà ci costa gran denaro,
tutti hanno fame e avean a star nell'oro!
... Fiorin di pioppo,
per certe gole ci vorrebbe un tappo;
chi non ha da mangiare e chi ne ha troppo.
(«La Vespa», 13 giugno 1864).
... Pagate, pagate, pagate, buffoni,
vogliamo milioni, vogliamo milioni,
... Qua le tue spoglie, o popolo,
nulla aver devi addosso...
arroterem le forbici,
finché avrai sano un osso!
(Ivi, 5 luglio 1864).
Si incitano i poveri alla rassegnazione, spiegando che, nel beato regno d'Italia, tutto si deve pagare: la luce, l'aria, l'acqua, la terra: si deve pagare per vivere, morire, lavorare, per avere diritto di essere lenoni e infami, per cacciare le donne nelle case di prostituzione.
| |
Vespa Italia
|