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      Il partito operaio (fondato nel 1882) venne a dar nuovo indirizzo e nuovo tono alle relazioni fra socialisti e repubblicani: preoccupato di conquistar benefici economici e politici al proletariato, con un programma pratico antidottrinario e antirivoluzionario, il partito operaio - a parte il riconoscimento dello sciopero - può sembrar figlio, se si vuole illegittimo, della scuola repubblicana, e invece le si contrapponeva nettissimamente per la dichiarata intransigenza di fronte a tutti gli altri partiti sul terreno economico (sul politico eran previsti accordi) e per l'esclusivismo antiborghese: si sa che i mazziniani avevano tirato avanti le società operaie a forza di soci onorari factotum: consiglieri, delegati ai congressi, sovvenzionatori, ecc. Era un brusco colpo di timone; ed era, in sostanza, il primo serio tentativo di concorrenza al sindacalismo democratico in quanto che il partito operaio lottava sul suo terreno legalitario. La guerra si dichiarò quasi subito contro Milano. Le due organizzazioni si rubarono i soci, si oppugnarono nei congressi regionali e nazionali, si contrastarono il terreno perfino nelle elezioni politiche, tendendo i repubblicani ad allearsi con la democrazia radicale, i dirigenti del partito operaio a lasciare candidature indipendenti di lavoratori. Sono arcinote le accuse furibonde scagliate dai demo-repubblicani lombardi ai loro oppositori di aver applicato il tradizionale «non olet» alle interessate lusinghe dei gruppi di governo, pronti a gonfiare la nuova frazione pur di indebolire la temibile coalizione di sinistra: primo accenno a una politica antidemocratica di parte socialista, primo scontro di una lunghissima battaglia antisocialista condotta dai repubblicani in anni piú vicini ai nostri.


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Saggi sul Risorgimento
di Nello Rosselli
pagine 380

   





Milano