Licenziando nel 1927 il mio Mazzini e Bakunin. Dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-72), scrissi un po' alla leggera che a quel primo studio avrei fatto ben presto seguire un altro volume che avrebbe condotto il filo della narrazione «almeno fino alle soglie del secolo XX». Svariati motivi m'impedirono poi di tener fede a quella promessa, ma certo il piú serio sarà stato quello che non ero ancora maturo a un'opera di cosí vasto respiro, né sufficientemente distaccato dalle cose di quel tempo per poter affrontare un'esposizione obiettiva. Preferii piuttosto indagare la preistoria del nostro movimento operaio e rifarmi alle fonti italiane e premarxiste del pensiero socialistico. Per chiarire l'azione politica e sociale svolta dall'ultima generazione nata nel clima preunitario occorreva d'altronde penetrare assai piú a fondo ch'io non avessi potuto fare fino allora il modo della sua formazione spirituale, e con quali premesse e con quali finalità, e, da ultimo, con quali residui essa avesse partecipato alla fase conclusiva del processo unitario italiano. Di dove venivano, cosa avevano operato, quali esperienze positive e negative avevano attraversato nei loro giovani anni gli uomini della prima Internazionale, i continuatori del «socialismo» mazziniano, i primi cooperativisti, i primi apostoli del verbo marxista? Fino a qual punto la loro nuova attività obbediva a profonde esigenze della vita italiana, fino a qual punto invece a sollecitazioni dall'esterno?
Era giusto il loro assunto che lo Stato italiano, quale si era venuto concretando sotto il governo della Destra, non rispondeva alle mete proposte da coloro che piú avevano contribuito alla sua formazione e che perciò proprio ad essi aspettava l'imporne una radicale trasformazione?
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