Se nella vicenda di lui noi dobbiamo vedere non solo la premessa e il punto di partenza per il singolare cammino percorso dal figlio, ma anche un poco - come è certamente nei desideri del De Begnac - la storia delle masse operaie e contadine che finalmente entrano, sia pur da ribelli, nella vita della nazione e via via acquistano coscienza dei suoi multiformi problemi, e piú in generale, della immensa distanza che sempre separa ideale e realtà, programma e prassi, ben s'intende come sia erroneo, oltreché inutile, lo stendere un velo su talune sue limitazioni e, talvolta, deviazioni. Tutte le esperienze son necessarie e in ultima analisi preziose alla vita di un popolo, tutte le riconquiste presuppongono un antecedente abbandono, tutte le affermazioni una negazione o almeno un dubbio: tutto sta nel saper ricostruire e tenere realisticamente presente il processo dialettico che lega questi vari momenti con un vincolo reciproco di indispensabilità. È cosí che, ad esempio, io non avrei affatto temuto di riferire integralmente certi passi caratteristici della prosa rivoluzionaria del primo Mussolini: sia le invettive contro i milioni del «povero prigioniero Gioachino Pecci»(451), che l'invito ai preti a gettare la «tonaca alla fiamma purificatrice del progresso per indossare il farsetto onorato dell'operaio»(452), o il contesto della infiammata corrispondenza «Cos'è il socialismo?» («il socialismo... è la scienza che illumina il mondo..., è una sublime armonia di concetti, di pensiero e di azione che precede al gran carro dell'umano progresso.
| |
De Begnac Mussolini Gioachino Pecci
|