«Il rimedio del ritorno al dispotismo non è un rimedio da medico, bensí da maniscalco di campagna, il quale non sa far altro che recidere il membro ammalato, perché ignora l'arte di guarirlo, conservandolo intatto. Gli Italiani amano un governo forte, egli è vero, ma sono abbruttiti (?) dal dispotismo. E infatti tutte le cose grandi nella storia del nostro paese furono create dalla libertà; e il dispotismo invece o spense od avvilí le migliori doti naturali della nazione...»
(415) Jacini (ibid., p. 35), deplora nella sua critica del sistema di governo, non lo Statuto e le sue conseguenze, fortunatamente assicurate all'Italia, ma «il modo affatto esotico per l'Italia» con cui si sono applicati.
(416) Jacini (Pensieri sulla politica italiana) critica il sistema parlamentare italiano (che è poi quello piemontese il quale a sua volta è quello copiato in furia nel '48 dal francese di Luigi Filippo) che chiama pseudo-parlamentare.
(417) Ma le sedute delle «Società emancipate» posavano addirittura a controparlamento, o meglio a parlamento di un partito (Rattazzi et son temps, p. 617).
(418) Un re come Vittorio Emanuele II, che troppo spesso faceva il suo comodo e seguiva una sua politica, attraverso suoi privati emissari (Rattazzi et son temps, II, pp. 325 sg.). Bismack piú d'una volta si rifiutò di parlate con questi inviati del re, negando che un re costituzionale potesse valersi della loro opera.
1871, febbraio, Lanza vorrebbe Rattazzi nel suo ministero; questi però vorrebbe tre o quattro portafogli per i suoi amici, tra cui gli esteri.
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