Il Manifesto dei Comunisti, commenta il Labriola, è tutto prosaico; non v’è in esso né retorica né proteste. Esso è ora una scienza. Non lamenta sul pauperismo per eliminarlo. Non sparge lacrime su niente. Le lacrime delle cose si sono trasformate per se stesse in forza rivendicatrice spontanea. L’etica e l’idealismo consistono ormai nel mettere il pensiero scientifico al servizio del proletariato.
In verità Marx è cosí convinto del fatale avvento della società comunista ad opera della legge di sviluppo del capitalismo che, allo stesso modo dello scienziato nei suoi esperimenti, sommamente si preoccupa di eliminare dal giuoco sociale tutti i fattori capaci di turbare o rallentare il pieno esplicarsi di quella legge. E, in primo luogo, i residui sentimentali e moralistici. Tutte le norme tattiche e tutto il programma pratico da lui consigliato ai partiti socialisti rispondono a quello scopo fondamentale: accelerare, facilitare, il processo di sviluppo capitalistico. Il suo discorso sul libero scambio fornisce un esempio tipico.
Una sola forte obbiezione si oppone alla interpretazione deterministica del marxismo: la teoria della lotta di classe. Come si spiega lo sforzo di Marx per svegliare la coscienza di classe nei proletari, la sua stessa invocazione rivoluzionaria, se la parte riservata agli uomini nel processo storico è puramente passiva?
Qui è d’uopo distinguere tra la formulazione generale della teoria della lotta di classe – in nulla contraddicente alla linea deterministica del suo pensiero – e la applicazione particolare che egli ne ha fatto al caso della lotta tra proletariato e borghesia.
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