In linea generale Marx si limita ad affermare che la lotta di classe è il risultato necessario del contrasto esistente nelle cose stesse; la faccia umana della dialettica immanente nelle cose. Egli avverte che la rivoluzione formale, esteriore, nei rapporti sociali, scoppia solo quando quella sostanziale, nel modo e nella tecnica produttiva, è già avvenuta. Per Marx la reazione psicologica è un posterius, segue il fatto economico come l’ombra la luce; e il fatto economico, ricordiamolo, non è il frutto di una volontà libera, ma di una volontà istintiva, schiava, dominata dal bisogno. Sarà una concezione psicologica molto semplicista e volgare, ma indubbiamente essa sta alle radici della costruzione marxista. E Marx vi annette tanta poca importanza che mai ne parla di proposito.
Nella applicazione della teoria generale al caso particolare della lotta tra proletariato e borghesia, non si può invece negare che Marx abbia abbandonato talvolta, specie negli scritti di propaganda, la posizione deterministica, salvo tornarvi nelle esposizioni piú pacate e riassuntive del suo sistema di pensiero. Ma ciò, oltre che esser dovuto all’intimo contrasto tra la sua natura di scienziato e di agitatore, era in funzione anche del dubbio che egli nutriva intorno alle conseguenze della lotta che appena cominciava a disegnarsi. Mentre per il passato egli poteva sicuramente affermare che il contrasto era sempre terminato col trionfo della classe che, interpretando le esigenze produttive, esplicava una funzione rivoluzionaria, per l’avvenire il suo senso storico gli vietava una ipoteca troppo assoluta.
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