E concludeva asserendo che in fatto di ideologia, altrettanto reale dell’economia, la società moderna è piú ricca delle società preesistenti, appunto perché il nesso causale tra sviluppo tecnico-economico e sviluppo delle tendenze sociali si fa sempre piú indiretto.
Osservazioni sacrosante, ormai accettate tacitamente da tutti i socialisti contemporanei; ma verità che davvero non possono dedursi dalle premesse marxiste. Ma non basta. Bernstein, che pure si professava, nella sostanza, marxista al cento per cento, patrocinava nel suo libro nientemeno che l’abbandono... dell’idea di necessità storica. Di quella idea, egli commentava, che dà l’illusione che il mondo cammini verso un regime predestinato. E la sosteneva, naturalmente, sulla base di quelle troppo famose note giovanili di Marx a Feuerbach, che sono il punto di partenza e d’arrivo di tutto quanto il revisionismo.
La ingenuità di Bernstein rasentava addirittura l’incredibile quando faceva mostra di credere che la sua non era che «una interpretazione diversa, una forma attenuata di esposizione, che non intaccava in nulla l’unità del sistema e anzi ne aumentava la “scientificità” (sic!)» «Il problema starebbe ormai solo – cosí egli concludeva – nell’assodare con precisione il rapporto quantitativo dei fattori, delle forze storiche predominanti». Caspita, ma se era proprio questo il problema che Marx si vantava di aver risolto categoricamente.
Sorel (mi riferisco al Sorel gradualista, prima dei suo passaggio al sindacalismo) è ancora piú franco e radicale.
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