Il marxismo, riassumendo in sé i piú audaci sviluppi del pensiero del secolo, soddisfece ampiamente la loro sete. Esso portava nella piccola vita italiana l’eco viva e sovvertitrice dei problemi e delle lotte europee, colmando, almeno nel regno delle idee, quel penoso distacco tra Italia ed Europa che esisteva nel regno dei fatti e della ricchezza. Darsi al marxismo equivaleva a tuffarsi in mare aperto dopo aver starnazzato nello stagno, tanto sostanzioso riusciva quello spregiudicato realismo dopo tutto il fumo ideologico e patriottardo. Come sempre avviene degli ideali che la loro effettuazione contamina, alla grande fiammata del Risorgimento aveva tenuto dietro in Italia una delusione immensa. Per la nuova generazione l’unità era un dato acquisito di cui ogni giorno di piú si criticavano il processo e i risultati: altr’esca, altro ideale, si richiedeva in quegli anni. L’ideale universale del socialismo permetteva di trascendere i magri confini dell’orizzonte italiano per ricollegarsi tangibilmente alle piú solenni esperienze sociali e socialiste in corso, a quella germanica in specie, che la lotta vittoriosa contro le leggi di eccezione cingeva in quegli anni di fulgida aureola. Si aggiunga inoltre una certa tal quale disposizione italica ad accogliere con straordinario interesse i prodotti spirituali stranieri e non sarà difficile spiegarsi la conversione clamorosa al marxismo di tutto il meglio della giovane generazione.
Benedetto Croce, nella Storia d’Italia, ha dato di questa conversione un quadro inobliabile.
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