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      Il partito passa quasi di colpo dal bando e dall’ostruzionismo al ministerialismo. Nello spazio di pochi anni Filippo Turati, condannato alla galera per quattordici anni, si vede sollecitato ad assumere il potere; e Andrea Costa, da habitué di guardine, viene promosso alla vicepresidenza della Camera.
      Il mutamento di clima fu tale che non poté non determinare fortissimi squilibri e contraccolpi, specie tra i giovani improvvisamente disincantati e, com’è naturale, restii a far proprio, senza le dovute esperienze, il subitaneo ottimismo e legalitarismo à tout prix del Turati e dei capi del moto operaio. Una generazione che aveva impostato la lotta su un terreno semplicistico, intransigente, rivoluzionario, si trovava posta alla testa, per miracoloso concorso di eventi, del piú grande movimento di masse con la prospettiva di salire al governo. Quel che in Inghilterra era costato un secolo di battaglie dure e pazienti in un ambiente già inciso dalle rivoluzioni del secolo XVII e dalle riforme del ’32; quel che in Francia era frutto della formidabile ondata dell’89 e delle successive crisi rivoluzionarie o morali del ’30-’48-’71-’93-’900 (una rivoluzione, in sostanza, ogni generazione); quel che in Germania si ottenne solo nel 1918 dopo lo sconquasso immane della guerra; in Italia si era ottenuto – o ci si illudeva di avere ottenuto – nell’éspace d’un matin con la complicità di un sovrano che si diceva aperto ai tempi nuovi e di un paio di ministri coraggiosi.
      In questo contrasto nel tempo, che costringeva i pionieri a far opera di raccoglitori, in questa fatale immaturità psicologica e tecnica a fronteggiare i compiti nuovi e positivi – immaturità di cui non si saprebbe accusare nessuno – sta probabilmente la prima ragione della crisi che, a cominciare dal 1907-908 circa, roderà sempre piú gravemente il socialismo italiano.


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Socialismo liberale
di Carlo Rosselli
pagine 184

   





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