E dopo il ’900 mancarono proprio fenomeni di dedizione a cause che in nessun modo si spiegano ricorrendo a mobili egoistici? Ma al contrario, è opinione quasi unanime che nella generazione intellettuale che doveva immolarsi nella guerra, si notasse un crescente stato di insoddisfazione e di insofferenza morale; il bisogno, buono o cattivo che fosse, di sortire da quella vita raffinata e cerebralizzante, di immolarsi corpo e anima ad una causa – quale si fosse – purché capace di trascendere i meschini motivi della vita d’ogni giorno.
Se i giovani intellettuali disertarono il socialismo non si fu perché essi divenissero tutti d’un tratto utilitari e filistei. Si fu all’inverso perché proprio il movimento socialista, nelle persone di troppi suoi dirigenti, nello spirito che presiedeva all’opera sua, andò perdendo gran parte del fuoco etico primitivo. Non è da credere che sfuggisse ai giovani lo stato di profondo disagio e insincerità dei leaders del movimento, la superficialità colpevole con la quale avevano creduto di superare la cosiddetta «crisi del marxismo». I giovani hanno bisogno di credere alla nobiltà, alla purezza, alla chiarezza degli ideali professati. Il transigere, che troppi fecero, con la propria coscienza, o il sottrarsi ai richiami e reclami della ragione seppellendo l’interno affanno sotto la formula equivoca, desta in loro repulsione profonda. E repulsione profonda destò in loro il balbettio dei giornali e libri socialisti in cui era venuto meno il vigore del pensiero e la fiamma morale.
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