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      Il Salvemini esagerò spesso nelle sue critiche e finí per cadere, per amore di concretezza, in un puro problemismo. Ma è indubbio che egli, piú acutamente d’ogni altro, diagnosticò la crisi che rodeva alla base il socialismo italiano.
      In verità negli ultimi anni innanzi la guerra il socialismo italiano era, intellettualmente, una cosa morta. Se da un stimolo parve esso animato, fu, se mai, quello della autodistruzione, tanto esso fece per coalizzare contro di sé tutte le correnti giovanili. Esso fece sí che la reazione intellettuale antimarxista si incontrasse con quella convergente antidemocratica, antiparlamentare, che in Italia significava poi antigiolittismo. Il socialismo riformista, non realista ma transazionista, venne esso pure identificato col parlamentarismo degenerante; influendo su questa reazione e traendone nuovo vigore e giustificazione, si alimentarono le correnti rivoluzionarie, da Sorel a Mussolini, e le correnti nazionaliste; le quali poi, convergendo il dí della guerra, dettero potenzialmente vita al fascismo.
      L’atteggiamento del partito durante la guerra, con la infelice formula «né sabotare né consentire» conferma la incertezza e lo spirito compromissorio che l’animavano.
      La guerra travolse come valanga il già fragile edificio intellettuale. Il febbrile dopoguerra, col suo ciclo vorticoso di esperienze, venne vissuto alla giornata, con un drenaggio a rovescia che polarizzò le scorie ed eliminò gli elementi piú vitali. Accanto ai pochi ma saldi rappresentanti del vecchio gruppo dirigente non si intravide neppur l’ombra di qualche autentica energia giovane.


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Socialismo liberale
di Carlo Rosselli
pagine 184

   





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