In essa non vedo che una generica trasposizione del principio dialettico dalla sfera concettuale a quella del reale e un consiglio generico di prudenza ai rivoluzionari, infinitamente meno suadente di quello che viene dai fatti e dalle libere esperienze. Osservo però che mentre nel sistema marxista questa dialettica di cose aveva un significato perfettamente chiaro e una direzione (soluzione socialista) ben precisata, nel revisionismo essa assume un valore sempre piú vago ed evanescente. La bussola tanto decantata è uno strumento che, all’atto pratico, si rivela sordo alle influenze magnetiche della storia che si fa. Per applicare, in ogni concreta situazione storica, il metodo materialistico, tutto sta, evidentemente, nella valutazione dello stato delle cose (meccanismo produttivo) e delle coscienze (uomini che lottano contro l’ambiente fisico ed economico). Ora questa interpretazione sarà sempre, entro certi limiti, viziata da soggettivismo e apriorismo. L’antitesi tra volontarismo e fatalismo che si crede di aver superata in sede teoretica col concetto della prassi che si rovescia, risorge in pieno nella pratica. Anche il volontarista sfrenato, quando proclama tesi semplicistiche e invoca salti miracolosi può, in buona fede, reputarsi pieno di senso storico. Se nel processo storico si fa posto alla volontà, il volontarista può sempre, nella maestà della sua intuizione, ritenere non vano l’appello alla volontà. E magari pensare che occorra esagerare volutamente il ruolo della volontà per forzare gli uomini, pigri e ciechi, a farne un uso ragionevole.
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