Quando si entra nei regni complessi della psicologia, il materialismo storico si rivela impotente.
In sostanza tutto il materialismo storico, dopo la sostituzione dell’interdipendenza al determinismo, si risolve in sede pratica in una lezione di realismo storico, in una verità banale che fu acquisita da secoli per gli uomini d’azione: non fare il passo piú lungo della gamba. Quando questa lezione fu impartita, cioè al tempo di Marx, fu veramente salutare, perché reagí alle orgie utopistiche e a tutti i disegni aprioristici di palingenesi sociale, frutto del razionalismo astratto del secolo XVIII; ma oggi tende a farsi nociva. Tutti i movimenti socialisti europei, sotto l’incubo di questa necessità che tanto hanno concorso a rivelare, hanno perso ogni fiducia nello slancio creativo delle masse. È forse venuta l’ora di mettere l’accento sul momento della libertà, di ricordare che in ogni caso è ai partiti riformatori che spetta esagerare l’elemento volontaristico, mentre è a quelli conservatori che spetta di esagerare le resistenze. Il determinismo marxista, e anche la interpretazione corretta che di esso dànno i revisionisti, induce alla accettazione o per lo meno a un eccessivo rispetto a priori della realtà esistente, appunto perché esistente. Esso umilia l’umanità ricordandole di continuo la sua pochezza di fronte alle formidabili forze ambientali, naturali e sociali; e può facilmente condurre a forme di rassegnazione sul tipo di quella cattolica. Tutti gli dei sono pericolosi, compreso quello delle forze produttive.
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Marx
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