Dirò una cosa che può sembrare paradossale; ma a me sembra che, nello stadio attuale dei rapporti sociali, il materialismo storico è filosofia che assai meglio si addice alla classe capitalistica, che alla classe proletaria. Il capitalista, e in particolare l’imprenditore, essendo alla testa del processo produttivo, dominandone e combinandone gli elementi, prendendo una parte attiva al progresso tecnico, possiede la coscienza della sua attiva partecipazione alla trasformazione del processo produttivo; riesce cioè a concretamente inserire la sua volontà nella storia, e il suo rapporto con la vita economica è tipicamente di azione-reazione. Il proletario (e per lui l’intellettuale che aderisce alla causa dei lavoratori), subendone invece solo i contraccolpi o essendo obbligato ad aderire passivamente al processo produttivo, non vede nelle forze di produzione che delle determinanti contro le quali, oggi, è impotente a reagire. Il materialismo storico diventa nelle sue mani non una filosofia liberatrice, ma una filosofia che gli disvela le sue catene e, disvelandogliele, lo induce a vani conati per liberarsene. Può servire in periodi di eccezionale esaltazione per calmare troppo ardore di illusione; ma non può essere la filosofia base di un movimento operaio che è ancora in stato di minorità nella direzione dell’economia. Psicologicamente parlando è fatale che il materialismo storico assuma, presso le masse, un colorito deterministico.
Piú in generale si può dire che a tutti i dominatori occorre ricordare continuamente i limiti, mentre a tutti i soggetti bisogna negarli o ridurne la portata.
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