Essi allargarono le braccia desolatamente e si disposero al martirio, convinti che poco o nulla vi fosse da opporre all’avanzarsi del fato che avevano analizzato in tutti i suoi elementi componenti. Essi avevano già razionalmente giustificata la loro sconfitta, quando gli altri non si illudevano neppure di vincere. È tanto facile rassegnarsi alla sconfitta quando essa pare venire dalla «forza delle cose», dalla «immaturità di sviluppo capitalistico», dalla «fase di necessaria crescenza borghese», ecc. ecc. E quando queste formule reggono poco, allora serve egregiamente l’hegelianesimo di basso rango con la sua razionalizzazione del reale, di tutta la realtà, anche di quella realtà che, contraddicendo alla legge intima dello sviluppo storico, dovrebbe espellersi dalla... realtà.
Di nuovo torna opportuno il paragone col cattolico. Il credente colpito nell’affetto dei suoi cari attribuisce la prova anche la piú atroce a segreti motivi del Signore. Allo stesso modo parla il materialista storico che si inchina al Dio tenebroso del capitalismo.
Soprattutto grave è la costante sottovalutazione che i marxisti fanno delle ideologie e dei cosiddetti fattori «irrazionali» (le passioni). Basti riflettere al grado veramente notevole con cui il nazionalismo resiste alle necessità economiche. In tempi di bonaccia il danno di cotesta sottovalutazione è relativo; ma in tempi dinamici, di crisi o di rivoluzione, le conseguenze possono essere decisive. La vita politica si trova allora come in stato di incandescenza e si presta ad essere plasmata nei sensi piú contraddittori, appunto per il ruolo immenso che vi giuocano gli elementi «irrazionali». Al materialista storico ciò normalmente sfugge, talché finisce per giungere a un apprezzamento erratissimo delle forze in giuoco.
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Dio
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