Il problema che confronta tutti i moti riformatori è proprio tutto in questa alternativa: trasformazione delle cose o delle coscienze? Il marxismo che, per la sua visione edonistica e deterministica, ha sempre posto in primo piano il problema del mezzo, risponde categoricamente: trasformazione delle cose, trasformazione dell’assetto produttivo e distributivo. Del fine ultimo quasi si disinteressa. Il suo storicismo combinato col suo utopismo gli fanno teorizzare il mezzo – la socializzazione – e dispregiare il fine: l’umanità. I problemi di educazione e di cultura li rimanda tutti a potere conquistato, a trasformazione avvenuta. Perché allora solo comincerà la vera storia, allora solo si verificherà il famoso passaggio «dal regno della necessità a quello della libertà», e gli uomini diventeranno padroni della loro storia, che non sarà piú storia ma stasi. Prima non v’è che il problema della lotta e del riscatto, l’educazione del combattente.
Niente di piú utopistico e meccanico di questo improvviso rovesciarsi di posizione filosofica che si spiega solo col carattere messianico del profetismo marxista. Ma noi che coi problemi della trasformazione d’ordine materiale ci troviamo confrontati, noi che vediamo la trasformazione, sia pur lentamente, svolgersi sotto gli occhi nostri, noi non possiamo piú aderire a questa soluzione negativa e semplicista e sentiamo tutto il tormento e la attualità dei problemi di moralità e di coltura. La trasformazione delle cose deve procedere di pari passo con quella delle coscienze; ché ben poco valgono le conquiste materiali, soprattutto quando impongono responsabilità nuove e gravi ai vittoriosi, senza una adeguata preparazione spirituale.
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