Verrà giorno in cui questa parola, questo attributo, sarà rivendicato con orgogliosa consapevolezza dal socialista:
Nella sua piú semplice espressione il liberalismo può definirsi come quella teoria politica che, partendo dal presupposto della libertà dello spirito umano, dichiara la libertà supremo fine, supremo mezzo, suprema regola della umana convivenza. Fine, in quanto si propone di conseguire un regime di vita associata che assicuri a tutti gli uomini la possibilità di un pieno svolgimento della loro personalità. Mezzo, in quanto reputa che questa libertà non possa essere elargita od imposta, ma debba conquistarsi con duro personale travaglio nel perpetuo fluire delle generazioni. Esso concepisce la libertà non come un dato di natura, ma come divenire, sviluppo. Non si nasce, ma si diventa liberi. E ci si conserva liberi solo mantenendo attiva e vigilante la coscienza della propria autonomia e costantemente esercitando le proprie libertà.
La fede nella libertà è al tempo stesso una dichiarazione di fede nell’uomo, nella sua indefinita perfettibilità, nella sua capacità di autodeterminazione, nel suo innato senso di giustizia. Il liberale veramente tale è tutt’altro che uno scettico. È un credente, anche se combatte ogni affermazione dogmatica; è un ottimista, anche se ha della vita una concezione virile e drammatica.
Questo in sede astratta. In sede storica il discorso si complica perché il liberalismo ha una storia ideale e pratica che, nel suo svolgersi, ha dato vita a una straordinaria messe di esperienze e di provvisorie teorizzazioni.
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