Ne viene però la conseguenza che la violenza che usassero le altre per ridurre all’ordine quell’una, sarebbe pienamente legittima. La violenza cui si vedesse ad esempio costretto a ricorrere un proletariato che si vedesse attaccato da forze reazionarie all’indomani di una grande vittoria elettorale che gli aprisse le vie del potere, sarebbe una sacrosanta e liberalissima violenza. Il liberalismo non esclude la violenza: solo la trasforma in forza, dandole la sanzione della morale e del diritto.
Il riconoscimento del metodo liberale, la fedeltà al metodo, ecco in che si sostanzia praticamente il liberalismo politico.
Purtroppo non sono rari i casi di socialisti che svalutano o irridono il metodo democratico. Facendo pompa di real-politik, essi ricordano che tutte le grandi trasformazioni storiche furono accompagnate dalla violenza, e che è ingenuo illudersi che la classe borghese si lasci spogliare senza offrire resistenze, in omaggio al dogma liberale. Aggiungono che il metodo democratico è il metodo proprio alla società borghese, rispondente agli interessi di conservazione e di governo della borghesia. Che sí, il proletariato può e deve servirsi delle istituzioni democratiche fintanto che è debole e ha bisogno di farsi le ossa; ma il giorno in cui esso sarà sufficientemente forte per affrontare la battaglia, dovrà saper dare un bel calcio a tutto l’armamentario democratico, utopistico, umanitario, e fare ricorso alla violenza, unica risolutrice nei periodi supremi di crisi e di trapasso.
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