Questo discorso che i socialisti democratici si sentono ripetere da trent’anni dimostra, in chi lo tiene, una completa incomprensione dello spirito e dell’essenza del metodo liberale, una fisiologica incapacità a sortire da posizioni che se avevano una ragione d’essere ai primordi del moto socialista, quando il proletariato era privo dei diritti politici e non aveva da perdere altro che le sue catene, non hanno piú ragione d’essere oggi che il proletariato ha conquistato in tutti i paesi la sua maggiorità politica. La classe operaia si trova oggi, in Europa, di fronte ad una borghesia che, trascinata dalla logica dei suoi principî e soprattutto dalla irresistibile pressione proletaria, è stata costretta a darsi – ché non l’aveva originariamente – una costituzione democratica. La borghesia ammette oggi esplicitamente che l’unica fonte di legittimità del potere risiede nel popolo, in tutto il popolo, il quale esprime il suo volere nei parlamenti, attraverso il suffragio universale. Il partito e i partiti che hanno la maggioranza governano; e, forti del consenso dei piú, hanno, in principio, il diritto di modificare a loro talento la costituzione sociale, con la sola riserva che si rispetti il diritto di opposizione.
Non occorre sapere in questa sede se la borghesia aderisca oggi in buona o mala fede, per convinzione o per necessità, a questo principio. Ciò che sappiamo in modo preciso è che questo principio non può non venire accolto con gioia profonda dai socialisti. Non dicono essi di voler servire l’interesse della grande maggioranza della popolazione?
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