Tutto cozza contro la miseria. La miseria è la gran nemica, né piú né meno come la ricchezza privilegiata. Le plebi miserabili furono sempre serve dei potenti. La fame equivale a sordità morale e gli appelli moralistici si risolvono fatalmente in prediche.
Ma via via che le condizioni economiche migliorano – e si sono grandemente migliorate – via via che la classe operaia procede nella sua affermazione politica, via via che lo Stato si apre alle esigenze nuove, e la stessa borghesia, nelle sue frazioni piú progressiste, non contrasta piú con l’ostinazione tradizionale il processo di emancipazione proletaria, i problemi di cultura e di moralità debbono salire al primo piano, pena lo smarrirsi e il corrompersi del movimento. Il socialismo non può piú limitarsi alla riforma degli aspetti esteriori della vita associata. Una emancipazione che mirasse solo a eliminare o ridurre la oppressione ambientale; una libertà che fosse tutta e solo negativa, e non si accompagnasse con la riaffermazione dei valori eterni dello spirito, sarebbe la liberazione da una schiavitú in nome di un’altra schiavitú. L’emancipazione o sarà integrale – corpo e anima – o non sarà.
È consolante perciò rilevare come in questi ultimi anni queste esigenze d’ordine spirituale siano venute, sia pure timidamente, affacciandosi nel seno stesso della classe operaia, per merito di quello stesso moto sindacale che sembrava sensibile alle sole quistioni di orario e di salario. La richiesta sempre piú insistente per il controllo operaio, per la compartecipazione alla direzione della produzione, per la costituzionalizzazione del regime di fabbrica, le battaglie su questioni di principio e di dignità, rivelano il sorgere di una dignità nuova nell’operaio medio, che non si accontenta piú dei soli miglioramenti materiali, ma intende affermare la sua personalità autonoma entro e fuori la fabbrica, non solo come cittadino ma anche come produttore.
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