Ciò che in ultima analisi veramente importa è il processo di elevazione della massa e la riforma dei rapporti sociali in base a un principio di giustizia che si armonizzi col rispetto delle libertà degli individui e dei gruppi; e davvero il rispetto convenzionale verso un programma ormai vecchio di cent’anni è in troppe parti superato.
Prima di chiudere questo breve saggio sul socialismo liberale vorrei indicare sommariamente quelli che mi appaiono come gli estremi dell’abito mentale e dello stato d’animo del socialista liberale. Il socialista liberale, fedele alla grande lezione che sgorga dal pensiero critico moderno, non crede alla dimostrazione scientifica, razionale, della bontà delle empiriche soluzioni socialiste e neppure alla storica necessità dell’avvento di una società socialista. Non si illude di possedere il segreto dell’avvenire, non si crede depositario della verità ultima, definitiva, in materia sociale, non china la fronte dinanzi a dogmi di nessuna specie. Non crede che il regime socialista sarà e si affermerà nei secoli per una legge trascendente la volontà degli uomini. Anzi, considerata la cosa freddamente, può anche ammettere in via di ipotesi che le forze del privilegio, della ingiustizia, della oppressione dei molti nell’interesse dei pochi, possano continuare a prevalere. Il suo motto è: il regime socialista sarà, ma potrebbe anche non essere. Sarà se noi lo vorremo, se le masse vorranno che sia, attraverso un consapevole sforzo creatore.
In questo dubbio, in questo virile relativismo, che spinge prepotente all’azione e vuole fare ampio posto alla volontà umana nella storia; in questo demone critico che obbliga di continuo a rivedere, alla luce delle nuove esperienze, la propria posizione; in questa fede nei valori supremi dello spirito, e nella meravigliosa forza animatrice della libertà, fine e mezzo, clima e leva, sta lo stato d’animo di un socialista sortito fuor dal pelago marxista alla riva liberalistica.
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