Il concetto della vita come lotta e missione, la nozione della libertà come dovere morale, la consapevolezza dei limiti propri ed altrui, difettano. Gli italiani hanno piú spesso l’orgoglio della loro persona, nei suoi valori e rapporti esterni, che della loro personalità. La loro vita intima è ricchissima, ma unilaterale; ricchissima soprattutto nella sfera sentimentale in cui erompe in forme istintive ed esasperate. La pacata riflessione sui massimi problemi della vita, l’abitudine al commercio col proprio foro interno, quel fecondo tormento spirituale che crea lentamente tutto un prodigioso inondo interiore che solo può dare la coscienza di sé come unità distinta e autonoma, mancano nei piú. L’educazione cattolica – pagana nel culto e dogmatica nella sostanza – e la lunga serie dei paterni governi hanno esentato per secoli gli italiani dal pensare in persona prima. La miseria ha fatto il resto. Ancor oggi l’italiano medio abbandona alla Chiesa la sua autonomia spirituale; ed ora si vede costretto ad abbandonare allo Stato, elevato al rango di fine, anche la sua dignità di uomo, degradato a semplice mezzo. Disposto alla servitú nel dominio della coscienza, lo si forza ora alla servitú nel dominio sociale e politico. Logica conclusione di un processo di passive rinunzie.
Il dolce far niente degli italiani – leggenda insultante nell’ordine materiale – ha purtroppo qualche fondamento nell’ordine morale. Gli italiani sono pigri moralmente, c’è in loro un fondo di scetticismo e di machiavellismo di basso rango che li induce a contaminare, irridendoli, tutti i valori, e a trasformare in commedia le piú cupe tragedie.
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