Tutto il resto è fumo ideologico, dicono i marxisti. Con un facile semplicismo che vorrebbesi gabellare per realismo, si sorvola su tutto il lato morale della questione, su tutto ciò che di caratteristicamente italiano rivela il fenomeno fascista. Ma l’errore è grossolano. Col solo interesse di classe il fascismo non si spiega. Le squadre d’azione non sorsero solo per l’ira cieca dei ceti retrivi sovvenzionatori. Faziosità, spirito d’avventura, gusti romantici, idealismo piccolo borghese, retorica nazionalista, reazioni sentimentali della guerra, inquieto desiderio del nuovo, qualunque esso fosse, – senza questi motivi il fascismo non sarebbe stato. Dalle sedimentazioni nascoste della razza, dalle esperienze delle generazioni, il fenomeno fascista è venuto fuori quasi per esplosione, stimolato da un evidente interesse di classe, ma profondamente inciso da caratteri che sono indipendenti dai criteri di classe. Nel bolscevismo diciannovista molti degli aspetti non solo estrinseci del fascismo si ritrovavano in pieno. Il fascismo va innestato sul sottosuolo italico, e allora si vede che esso esprime vizi profondi, debolezze latenti, miserie ahimè del nostro popolo, di tutto il nostro popolo. Non bisogna credere che Mussolini abbia trionfato solo per la forza bruta. La forza bruta, da sola, non trionfa mai. Ha trionfato perché ha toccato sapientemente certi tasti ai quali la psicologia media degli italiani era straordinariamente sensibile. Il fascismo è stato in certo senso l’autobiografia di una nazione che rinuncia alla lotta politica, che ha il culto dell’unanimità, che rifugge dall’eresia, che sogna il trionfo della facilità, della fiducia, dell’entusiasmo.
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Mussolini
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