Nell’ambito familiare questi momenti idealistici tutti li riconoscono: è assurdo negarli nella sfera sociale. La storia di tutti i popoli conosce attimi, sia pure, ma di sublime bellezza, in cui folle intere si apersero ad una visione elevata e disinteressata. Il movimento operaio e la stessa guerra ce ne fornirono degli esempi. Perché supporre che la classe lavoratrice non giunga a sentire la bellezza di una lotta per la libertà, di una lotta che implica come primo sentimento il rispetto di sé e dei propri simili?
Non v’è maggiore schiavitú di coloro che, raggiunta la consapevolezza della loro condizione servile, vi si rassegnano. Non v’è maggiore impotenza di quella di coloro che, intuito il valore ideale della libertà, si inducono a contaminarla, a farne una rivendicazione tutta solo prosaica e utilitaria, in omaggio a una pretesa insensibilità delle masse. Se davvero le masse (cioè l’uomo medio) fossero cosí negate al senso del valore superiore della libertà, sarebbe questa la migliore ragione per reagirvi con una opera paziente di educazione e di proselitismo. I marxisti invece hanno sempre trovato un particolare diletto a spengere in germe i motivi idealistici, sprezzandoli e riconducendoli sempre alle loro pretese origini utilitarie.
Ma nella posizione dei marxisti di fronte al problema della libertà si rivela, oltretutto, una contraddizione. Sostengono da un lato che la massa si potrà muovere solo per interessi materiali; mentre dall’altro le chiedono oggi, nella concreta situazione italiana, di rovesciare violentemente il fascismo.
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