Coloro che ci rimproverano il carattere intransigente dato alla lotta ricordino che nella vita degli individui come dei popoli vi sono ore drammatiche in cui il cozzo di due principî e di due mondi morali reciprocamente escludentisi vieta ogni posizione di compromesso. La regola pratica del liberalismo, la regola del giusto mezzo, cade, potendosi essa applicare solo laddove regna un accordo sui fondamenti essenziali della vita sociale. Il fascismo per primo ha spazzato via il terreno da tutte le comode e quietistiche posizioni intermedie, irrigidendosi in una settaria e categorica proclamazione di principî, scavando un abisso ideologico e pratico tra italiani e italiani, tra Italia fascista ed Europa moderna. Il fascismo è, prima e soprattutto, antiliberalismo: impossibile quindi transigere.
In tutti i paesi la libertà è figlia di rivoluzione. L’Inghilterra col 1648, la Francia col 1798, la Germania e la Russia con le rivoluzioni del ’17 e del ’18, conquistarono il loro definitivo atto di emancipazione. Sembra quasi che una fatalità storica leghi, attraverso i secoli, la emancipazione dei popoli. Se il popolo d’Inghilterra – ebbe a dire una volta Gladstone – avesse obbedito al precetto della esclusione della violenza e del mantenimento dell’ordine, le libertà d’Inghilterra non sarebbero mai state ottenute.
Coloro che appartenendo a popoli liberi che hanno nel sangue da molte generazioni la religione della libertà, ci invitano al compromesso, non intendono nulla della lotta che si svolge in Italia e sono, inconsapevolmente, i migliori alleati del fascismo.
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