Un movimento socialista italiano che sapesse imporsi la fatica di una profonda revisione di valori, son certo riuscirebbe a convogliare seco – nonostante le diversità di origine – tutte le forze giovani che aderiscono e ancor piú aderiranno, in una Italia libera alfine, alla causa dei lavoratori; e a determinare nello stesso suo seno un impetuoso rigoglio di vita e di discussioni, necessità ineliminabile dei giovani che, entrando nel mondo delle idee, hanno il dovere di fare i conti coi problemi del loro tempo.
Il discorso sulla necessità di un rinnovamento ideologico e di un maggiore liberalismo all’interno del movimento, si allarga a tutto quanto il problema della cultura. I socialisti in genere, e quelli italiani in particolare, sono terribilmente in ritardo in fatto di cultura; in ritardo – intendo – sulle posizioni in cui trovasi il meglio della nuova generazione. Ciò deriva in parte dalla pesantezza dei movimenti di massa, assai conservatori in fatto di ideologia e di cultura; ma in parte, in somma parte – almeno in Italia – dall’attaccamento feticistico alle posizioni del materialismo positivista che contrassegnava la élite socialista trent’anni fa. Essa ha sempre violentemente combattuto ogni deviazione dal socialismo ateo, materialista, positivista; e ha dispregiato come borghesi tutte le correnti giovanili che non aderivano allo schema abituale. Nel suo misoneismo c’era, in verità, oltre a una notevole incomprensione, una discreta dose di presunzione. Perché essa non solo non aveva innovato, al tempo della sua formazione, le posizioni culturali della borghesia tutte dominate dai pontefici positivisti; ma le aveva anzi abbracciate entusiasticamente, seguendo a molti decenni di distanza l’esempio di quelle correnti democratiche borghesi che si accingeva a soppiantare in sede politica.
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