Anche i piú ciechi credenti nell’internazionalismo assoluto della classe proletaria – tipico dei bohémiens e dei perseguitati, proprio di una fase romantica iniziale – sono costretti a riconoscere le sostanziali differenze tra i principali movimenti socialisti del mondo. Differenze che non si spiegano davvero col diverso grado di sviluppo economico dei vari paesi – secondo vorrebbe il marxismo – ma col ricorso a complesse serie causali, la cui sintesi trovasi nella fisionomia delle singole collettività nazionali.
Di tutti i grandi movimenti socialisti, solo la socialdemocrazia austro-germanica si dichiara ancora formalmente aderente al marxismo, nonostante la netta correzione in senso democratico apportata dalla rivoluzione del 1918 e il diffondersi dell’eresia nel movimento giovanile.
La tradizione socialista francese – romantica, umanistica, libertaria – è sempre rimasta estranea all’influenza marxista. La conciliazione fallí sempre, anche nei piú grandi, come Jaurès, che sol nell’impeto oratorio riuscí a superare il dualismo dei motivi. Nei socialisti francesi non si smarrirono mai il culto dell’individualità, la fede nella libera iniziativa operaia, la adesione alla realtà nazionale, il riconoscimento dei fattori morali, il rispetto per la piccola proprietà rurale e artigiana. Proudhon, Sorel, Jaurès, e non Lafargue e non Guesde, sono i legittimi rappresentanti della mentalità socialista francese.
Ancora piú spiccata la originalità del socialismo britannico, decisamente antimarxista, antideologo, antilaico, insensibile o quasi alle lotte di tendenze, amante, per la mentalità empirica cosí tipica negli inglesi, dei problemi concreti.
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