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      Il socialismo italiano dovrà in avvenire preoccuparsi assai di piú degli specifici problemi nazionali, rompendo l’assurdo monopolio patriottardo dei partiti cosiddetti nazionali. Nel progressivo specificarsi e individualizzarsi dei vari movimenti socialisti europei, non si deve scorgere il sintomo del fallimento dell’ideale universalistico del socialismo. Al contrario, vi si deve riconoscere il segno del trapasso dall’astratto al reale, un momento fondamentale e ineliminabile nel cammino ascensionale delle masse, le quali non sono in grado di passare di colpo dallo spirito di categoria e di campanile, alla comprensione piena e vissuta di una solidarietà mondiale. La comunità dei popoli postula i popoli come entità a sé stanti, coi loro originali motivi di sviluppo: solo una sintesi organica delle varie comunità nazionali porterà un giorno alla federazione delle nazioni. Tutto il resto è utopia. La negazione iniziale dei valori nazionali da parte dei precursori socialisti fu la naturale reazione allo stato di profonda inferiorità e oppressione fatta alle masse. Il loro internazionalismo fu soprattutto polemico e non costruttivo. La classe lavoratrice, accostumata a vedere nello Stato lo strumento di una oppressione di classe, coinvolse fatalmente nella condanna e nell’odio anche quella patria che è invece espressione simbolica di una comunanza innegabile di storia e di destino. Oggi che le masse, nei paesi piú progrediti, si vedono riconosciuta piena parità di diritti politici, e sono venute in possesso di mezzi potentissimi per permeare di sé, dei propri bisogni materiali e ideali, lo Stato; oggi, il vieto internazionalismo che nega o rinnega la patria è un controsenso, un errore, una delle tante palle di piombo che il feticcio marxista ha appeso al piede dei partiti socialisti.


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Socialismo liberale
di Carlo Rosselli
pagine 184

   





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