Anche se saliranno al governo sarà piú per compiervi opera negativa che costruttiva, piú per controllare e prevenire che fare; e, senza volerlo, finiranno al rimorchio dei gruppi borghesi progressisti, non legati da formule rigide e da pregiudiziali estemporanee. In ogni caso essi tradiranno per questa via la loro piú vera missione: perché il movimento socialista deve, per definizione, investirsi degli interessi e dei problemi della intera classe lavoratrice e non di una frazione, grande o piccola che sia. Se viceversa sentono che anch’essi non potranno sottrarsi nel vicino domani a quella che è ormai una necessità per tutti i partiti socialisti del mondo – vale a dire la responsabilità del potere – si preparino sin d’ora ad una profonda revisione del loro programma, della loro tattica, della struttura stessa del movimento, in guisa da crearsi la possibilità di conquistare una salda maggioranza. Col dir ciò non si chiede ai socialisti di rinunziare ai loro ideali, di gettare tra i ferrivecchi della propaganda il sogno di una società regolata su un principio di giustizia e di libertà. Tutt’altro. Si chiede anzi di non compromettere la possibilità di reali progressi in quel senso con l’attaccamento morboso a formule, a programmi, a metodi superati; si chiede di non trasformare i mezzi tecnici, strumentali, in fini, ovvero di usare mezzi sempre adeguati ai fini parziali che ci si propone di raggiungere; si chiede insomma di mettersi al passo con la realtà economica e psicologica del loro paese, di non baloccarsi coi sogni delle apocalittiche trasformazioni e di non contare su improvvise quanto inconcepibili conversioni di masse.
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