Un socialista che non si liquida né con la critica dei vecchi programmi, né col ricordo della sconfitta, né col richiamo alle responsabilità del passato, né con le polemiche sulla guerra combattuta. Un socialista giovane, di una marca nuova e pericolosa, che ha studiato, sofferto, meditato e qualcosa capito della storia italiana lontana e vicina. E precisamente ha capito:
I. Che il socialismo è in primo luogo rivoluzione morale, e in secondo luogo trasformazione materiale.
II. Che, come tale, si attua sin da oggi nelle coscienze dei migliori, senza bisogno di aspettare il sole dell’avvenire.
III. Che tra socialismo e marxismo non v’è parentela necessaria.
IV. Che anzi, ai giorni nostri, la filosofia marxista minaccia di compromettere la marcia socialista.
V. Che socialismo senza democrazia è come volere la botte piena (uomini, non2 servi; coscienze, non numeri; produttori, non prodotti) e la moglie ubriaca (dittatura).
VI. Che il socialismo, in quanto alfiere dinamico della classe piú numerosa, misera, oppressa, è l’erede del liberalismo.
VII. Che la libertà, presupposto della vita morale cosí del singolo come delle collettività, è il piú efficace mezzo e l’ultimo fine del socialismo.
VIII. Che la socializzazione è un mezzo, sia pure importantissimo.
IX. Che lo spauracchio della rivoluzione sociale violenta spaventa ormai solo i passerotti e gli esercenti, e mena acqua al mulino reazionario.
X. Che il socialismo non si decreta dall’alto, ma si costruisce tutti i giorni dal basso, nelle coscienze, nei sindacati, nella cultura.
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