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      ! Nè è da credere che facesse paura il grave e superbissimo suo marito ex-colonnello, tutt'altro: la paura non veniva che dalla maestà soverchia della bellezza di lei, e da quelle parole piene di sapienza riposta ond'ella faceva ammutolire tutti quelli che le si avvicinavano, e dal sospetto ch'ella fosse più sapiente ancora di quello ch'ell'era. Ma come potè adunque un tenore?... Noi stavamo in aspettazione di questa domanda, però la soluzione del problema eccola qui.
      Nel famoso 18 brumajo, Bonaparte, che pure era passato imperterrito attraverso alla flottiglia inglese, fidente nel proprio destino, per giungere in tempo a Parigi onde recarsi in mano le redini di tutta la cosa pubblica; quando si trattò di abbattere il Consiglio de' cinquecento, si smarrì e parve minor di sè stesso, e nessuno de' suoi coraggiosi fautori, nemmeno il fratello Luciano, avrebbe osato disperdere quel formidabile Consiglio. - Chi seppe far tanto? Colui che aveva men testa di tutti, colui che ripeteva il suo coraggio dalla spavalderia militaresca, e affrontava il pericolo per non saperne misurar le conseguenze. Fu Murat, che, alla testa de' suoi granatieri, a bajonetta in canna, entrò nel Consiglio, e i membri dovettero discendere dalle finestre... con che le sorti di Napoleone furon fermate. I grandi fatti giovano a spiegare i piccoli, e viceversa, però la contessa Clelia che riusciva a' cavalieri milanesi più formidabile del Consiglio dei cinquecento, non fece nessuna paura al tenore Amorevoli, il quale anzi s'incalorì delle difficoltà, e fatto baldanzoso dalla lunga lista de' proprj amori fortunati e reso intraprendente dalle sopracciglia folte della contessa che gli richiamavano le sue belle compatriotte di Trastevere (perchè il tenore Amorevoli era nato a Roma), fece quello che fece poi Murat, mezzo secolo dopo, col Consiglio dei cinquecento.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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