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      Ma ciò non solo con Amorevoli (sarebbe troppo facile a comprendersi), ma con tutti, ma colle donne di sua conoscenza, ma co' gentiluomini, ma con quelli che avea sempre trattati con dispregio e a cui per contraccambio ella era riuscita così disgustosa.
      Chi volesse dar la spiegazione dell'acredine ond'era involuta l'indole di quella gentildonna nel tempo in cui non si pasceva che d'orgoglio scientifico, potrebbe forse assegnarne la cagione a questo, ch'ella, sebbene in confuso e senza nemmeno averne la coscienza, sentiva fieramente la mancanza di uno di quegli affetti che bastano a colmare un'esistenza; noi per esempio portiamo l'opinione che se essa, in quei sette anni di matrimonio, avesse avuti una mezza dozzina di figlioli, il corpo sarebbesi tanto quanto sciupato, ma l'animo sarebbesi nudrito dei più cari conforti dell'esistenza. - Fu perciò una vera disgrazia, ch'ella per sentire com'è dolce la vita quando è dolce, abbia dovuto porre il labbro sugli orli imbalsamati di un vaso che doveva poi esser pieno d'assenzio. - La contessa e Amorevoli stavano da qualche tempo infervorati in un dialogo, che noi non riporteremo per quella ragione che i dialoghi di due amanti, come le poesie improvvisate, per conservare il loro prestigio, hanno bisogno di non essere trascritti. Possiamo però assicurare che, chi fosse stato presente a quella notturna confabulazione senza conoscere gl'interlocutori, avrebbe detto che l'ingegno e l'acutezza e l'amabile scaltrezza e l'eloquenza appartenevan in proprio a colui che si lasciava allegare i denti persin dalle strofe di Metastasio: e che invece la povertà delle idee, la mancanza di slancio, la parola impacciata, la timidezza puerile erano di colei che pure aveva tanta confidenza con Eulero e con d'Alembert.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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